Emergenza e persone con disabilità: nuova pagina del nostro sito

In occasione dell’apertura della Conferenza mondiale dell’ONU sulla riduzione dei rischi da disastro (14-18 marzo a Sendai, Giappone), il nostro sito ha appena aperto una nuova pagina per approfondire il tema dell’emergenza, aiuti umanitari e persone con disabilità.

Ricco di contenuti e risorse, vuole essere un ulteriore spazio di scambio di informazioni su questo tema così importante e che ha guadagnato i primi posti nelle agende politiche internazionali.

La pagina si trova sotto il menù “Temi”
Link diretto: https://www.dpitalia.org/temi/emergenza-e-persone-con-disabilita/

 

Appello per l’adesione alla marcia della pace Perugia-Assisi

logo FISH e DPI Italia

Nel mondo sono in corso condizioni di guerra in 36 paesi. Le guerre ormai colpiscono quasi esclusivamente le popolazioni civili. Se nella prima guerra mondiale a fronte di a 10.298.699 morti militari furono 7.081.074 quelli civili, già nella seconda guerra mondiale il rapporto si era invertito: furono 48.525.113 i civili morti e “solo” 9.564.947 quelli militari. Questo trend è cresciuto negli ultimi anni con l’uso di sofisticate tecnologie belliche al punto che ormai mentre i morti inermi crescono a dismisura si contano nell’ordine di poche  centinaia o migliaia quelli militari.

Tutto il movimento internazionale delle persone con disabilità e delle loro famiglie è sempre stato contrario a qualsiasi guerra, perché incrementa il numero di persone con disabilità, crea condizioni nelle quali le persone meno tutelate e discriminate sono quelle più soggette a violenze e violazione di diritti umani, perché anche nel momento dell’intervento umanitario di emergenza ci si dimentica che vi sono persone con esigenze particolari. Le persone con disabilità, come i vecchi ed i bambini, sono i più colpiti dagli effetti devastanti di una guerra.

Durante la guerra in Kossovo le persone non autonome venivano abbandonate nelle fughe precipitose; in molti paesi con conflitti le persone che sono rinchiuse in istituti, spesso incapaci di rappresentarsi da sole, hanno visto mancargli progressivamente l’assistenza, la cura ed il cibo; nei campi profughi completamente inaccessibili, le persone con disabilità  sono prigioniere nelle loro tende, non possono andare in bagno, non ricevevano diete alimentari speciali a loro necessarie, non hanno alcuna assistenza; nella recente guerra nella striscia di Gaza, le persone con disabilità non potevano fuggire dalle loro case durante i bombardamenti.

A queste condizioni terribili si aggiungono le conseguenze che colpiscono le persone con disabilità nei paesi che entrano in guerra: infatti l’attenzione verso le esigenze della guerra, le risorse economiche ingenti che essa ingoia, l’abitudine ad un mondo a due dimensioni, fatto solo “di chi è con noi e di chi è contro di noi”, produce disattenzione e spesso cancellazione delle azioni e politiche necessarie per garantire alle persone con disabilità la lotta all’esclusione sociale, la non discriminazione e la pari opportunità nell’accesso ai diritti.

L’inclusione sociale che le persone con disabilità rivendicano in tutto il mondo come metodo ed obiettivo delle società rispettose dei diritti umani di tutti richiede un dialogo continuo, la messa a disposizione di strumenti di empowerment e di politiche pubbliche di mainstreaming, il coinvolgimento di tutti gli attori sociali competenti, la messa a disposizione di soluzioni legate alla personalizzazione degli interventi ed alla trasformazione degli ambienti di vita e di relazione. Tutto questo durante la guerra viene messo in secondo piano, a volte viene totalmente cancellato dalle agende politiche, dai mass media, dalla coscienza della gente comune.

Per questo Disabled Peoples’ International, organizzazione per la tutela dei diritti umani delle persone con disabilità, presente in 142 paesi del mondo, e la FISH, Federazione italiana per il superamento dell’handicap, hanno deciso di aderire alla Marcia della Pace Perugia-Assisi del 19 ottobre 2014, invitando le persone con disabilità e le loro associazioni, tutti coloro che vogliono vivere in un mondo senza guerre a partecipare alla Marcia.

Per informazioni scrivere a
giambatman@tin.it
e
presidenza@fishonlus.it

Leggi anche l’articolo pubblicato sul sito di Superando.it

Fermate questo massacro!

di Giampiero Griffo*
«Gli sforzi di tanti cooperanti internazionali – scrive Giampiero Griffo, reduce qualche mese fa proprio da una serie di incontri di formazione con associazioni di persone con disabilità della Palestina -, per migliorare la condizione di vita dei cittadini palestinesi, rischiano di essere resi vani dalla guerra che tutto cancella, lasciandosi dietro solo odio, sofferenze e macerie. Bisogna fermare questo massacro di inermi civili a Gaza!»

Si può morire mentre si vede una partita dei Mondiali di Calcio? È accaduto a Gaza durante la partita Argentina-Olanda: una nave israeliana ha lanciato un missile sul litorale, centrando un bar dove si stava appunto assistendo alla Semifinale del Campionato del Mondo, uccidendo nove persone, tra cui alcuni bambini, e ferendone quindici… Che orrore!
Possono quattro bambini essere uccisi mentre giocano? È accaduto nel porto di Gaza City, dove un capanno in cui giocavano quattro bimbi palestinesi è stato centrato dalle bombe israeliane… Che cosa assurda!
Si può essere svegliati in piena notte da una voce che dice: hai cinque minuti per uscire di casa altrimenti morirai? È quello che accade ai palestinesi che abitano nella Striscia di Gaza, colpita dai bombardamenti israeliani ogni notte… Che incubo!
Si può bombardare un istituto per persone con disabilità, un ospedale, un orfanatrofio e un centro di assistenza per anziani non autosufficienti? È accaduto a Ben Lahia, a Gaza City e nelle vicinanze, durante i bombardamenti israeliani di questi ultimi giorni… Che crudeltà!

In queste ultime settimane mi angoscia la condizione del popolo palestinese. Sono reduce da una missione nell’àmbito di un progetto dell’organizzazione EducAid (Cooperazione e Aiuto Internazionale in Campo Educativo) in Cisgiordania e a Gaza, indirizzato all’empowerment [“crescita dell’autoconsapevolezza”, N.d.R.] delle organizzazioni di persone con disabilità locali. Ho potuto quindi costatare quali siano le condizioni di vita di queste persone e come sia possibile applicare la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, ratificata dall’Autorità Palestinese il 2 aprile scorso [se ne legga anche nel nostro giornale, N.d.R.].
Ero tornato con due contrastanti impressioni: da un lato la vitalità dell’associazionismo (come in tutto il mondo il movimento delle persone con disabilità è presente nel Paese e attivo, anche se il suo peso nei processi decisionali è scarso); dall’altro lato una percezione di impotenza rispetto alle questioni che dividono Israele e Palestina. Ma proviamo a entrare maggiormente nei dettagli.

Il progetto, o meglio, i progetti gestiti da EducAid, con la presenza della RIDS* (Rete Italiana Disabilità e Sviluppo), sono finanziati dall’Unione Europea e dalla Direzione Generale Cooperazione allo Sviluppo del nostro Ministero degli Esteri. Essi sono indirizzati all’empowerment delle organizzazioni della società civile, con particolare attenzione alle donne con disabilità a Gaza e in Cisgiordania.
Nel corso della mia missione, ho partecipato a quattro percorsi di formazione (tre in Cisgiordania, a Ramallah, Betlemme e Nablus e uno a Gaza City), a due convegni (Ramallah e Gaza City) e al lancio del progetto in Cisgiordania (quello di Gaza era partito l’anno scorso).
Il risultato di questa intensa attività di informazione sulla Convenzione ONU è stato senz’altro positivo: sulla Convenzione stessa, infatti, si è attivata la società civile (ai due convegni che hanno seguito i training hanno partecipato rispettivamente settanta e sessanta persone di tutte le Associazioni coinvolte) e nonostante l’Autorità Palestinese non abbia ancora attivato le procedure per implementare il Trattato dell’ONU, sono stati chiariti i passaggi procedurali da seguire (definizione del focal point; creazione di un meccanismo di coordinamento; costruzione di un sistema di monitoraggio) e avviato un percorso dal basso, per arrivare ad avere un’unica voce del movimento che possa interloquire con le autorità competenti.
Come in molti Paesi, infatti, le organizzazioni di persone con disabilità e delle loro famiglie sono frammentate in tante Associazioni e non hanno ancora un sistema democratico e capillare di coordinamento. Qualche esperienza esiste, ma essa coinvolge solo alcune Associazioni.

L’approccio basato sui diritti umani della Convenzione tocca molteplici limitazioni in Palestina alla partecipazione e al godimento dei diritti e delle libertà fondamentali. Non vi sono servizi sanitari sufficienti e professionalmente competenti; l’accessibilità è molto problematica (nessun mezzo di trasporto accessibile; moltissimi edifici pubblici e privati con barriere architettoniche, di orientamento e comunicazione; assenza di arredo urbano fruibile…); il diritto allo studio è garantito a poche persone con disabilità motoria, in poche scuole speciali per sordi e per ciechi e quasi totalmente impedito alle persone con disabilità intellettiva; il tasso di disoccupazione è molto elevato (circa il 90% a fronte di circa la metà nel mercato ordinario), mentre la legge locale che prevede il collocamento obbligatorio nel 5% dei posti di lavoro pubblici è largamente disattesa; e infine, gli altri diritti tutelati dalla Convenzione sono molto problematici da esigere.
Non esistendo risorse locali – e non potendo esistere, per la particolarità di essere da cinquant’anni territori occupati da Israele – non esiste un welfare e laddove vi sia qualche sostegno pubblico o privato, questo dipende dai donatori esterni.
Un esempio l’ho avuto quando ho visitato il Centro Riabilitativo di Jaballa nella Striscia di Gaza, struttura che assiste prevalentemente minori sordi. Essa ha un’utenza che si aggira sui 3.500 bambini all’anno cui vengono forniti gratuitamente assistenza riabilitativa e ausili per l’udito. Il piccolo laboratorio interno è in grado infatti di fabbricare e personalizzare in loco apparecchi acustici per i bambini sordi. Da quest’anno, però, a causa della mancanza di materie prime (in tutta l’area della Palestina e in particolare a Gaza, qualsiasi prodotto è soggetto al controllo e all’autorizzazione di Israele), il laboratorio è inoperoso e i bambini non ricevono gli ausili di cui hanno bisogno.

Questo quadro assai drammatico – come in molti Paesi in cerca di sviluppo – è aggravato da un contesto assolutamente allucinante. Dal 1948, infatti, quando cioè le grandi potenze decisero di dare al popolo ebraico un territorio, occupando una parte dei terreni in cui prima vivevano i palestinesi, il problema della coabitazione tra i due popoli è diventato di anno in anno più problematico. Prima con un incremento dei territori assegnati dall’ONU (guerra 1948-49), poi con l’occupazione dei territori palestinesi (1956) e infine con la Guerra del Sinai (1967), meglio nota come “Guerra dei Sei Giorni”.
Da allora Israele occupa la gran parte dei territori destinati ai palestinesi, che sono costretti a dipendere dalle Istituzioni israeliane per uscire ed entrare dai propri stessi territori e per circolare sulle strade (vi sono check-point su tutte le strade palestinesi, attivati in maniera spesso arbitraria da Israele); inoltre, tutta l’economia dei territori (circa il 95%) dipende da Israele, dal cibo a qualsiasi prodotto di uso quotidiano. Pochissime, infatti, sono le industrie locali. E anche l’erogazione dell’acqua subisce la stessa condizione, con Israele che si è appropriata delle fonti idriche presenti nei territori palestinesi e che rivende l’acqua palestinese agli stessi palestinesi a costi aggiuntivi; a Gaza, poi, l’acqua dei rubinetti non è potabile ed è maleodorante.
E ancora, nonostante gli impegni presi a suo tempo, la Striscia di Gaza non è collegata alla Cisgiordania, per cui la Palestina è uno Stato non incluso in un unico confine. Da Gaza, del resto, è praticamente impossibile uscire per un palestinese, talché superare il check-point è un’esperienza decisamente poco consigliabile: il capannone dove è ubicato pare una grande camera a gas, le procedure da seguire per una persona in sedia a rotelle sono umilianti e assolutamente inadeguate.

«Il popolo palestinese di Gaza è in una “prigione a cielo aperto”», si dice comunemente. Immaginate: non solo sono bombardati a tutte le ore del giorno e della notte, non solo sono invasi dai tank e dai carri armati, ma non possono scappare da nessuna parte.
L’Agenzia per i Rifugiati delle Nazioni Unite, l’UNRWA [United Nations Relief and Works Agency for Palestine Refugees in the Near East, N.d.R.] ha accolto nelle proprie scuole circa quarantamila persone negli ultimi giorni, rifugiati, però, dentro alla striscia di Gaza, a fianco dei palazzi bombardati…

Gli sforzi che tanti cooperanti internazionali di migliorare la condizione di vita dei cittadini palestinesi, gli stessi obiettivi dei progetti di EducAid cui chi scrive ha contribuito rischiano di essere resi vani dalla guerra che tutto cancella, lasciandosi dietro solo odio, sofferenze e macerie.
E la situazione peggiora di ora in ora: il 18 luglio scorso, Rafiah, una delle persone in sedia a rotelle incontrata a Gaza nella sede dell’Associazione Sportiva Peace Sport Club for Persons with Disabilities, studentessa universitaria, ci ha scritto su Facebook, nel suo inglese incerto: «Ho paura… hanno distrutto con un bombardamento il palazzo a fianco del mio…».
E perché tutto questo? Perché il governo israeliano – senza alcuna prova – ritiene che sia stato qualche militante di Hamas [il Movimento Islamico di Resistenza, N.d.R.] a sopprimere tre ragazzi trovati uccisi nei pressi di Hebron. Senza identificare gli assassini, con un’assurda estensione razzista della legge del taglione di biblica memoria, si criminalizza tutto un popolo e lo si bombarda, uccidendo soprattutto civili, donne e bambini… È una faida disumana e infinita, in cui combattono Davide e Golia…

Anni fa, nel mio primo viaggio in Palestina – era il 1989 – incontrai una persona cui erano state amputate ambedue le gambe durante la prima Intifada, a causa delle bastonate ricevute da soldati israeliani. Alla mia domanda («Senti di essere discriminato come persona con disabilità?»), mi rispose: «Sono discriminato come palestinese!».
Dice David Grossman, famoso scrittore israeliano: «Nel popolo di Israele c’è un vuoto di azioni e di coscienza in cui si verifica un’efficace sospensione del giudizio morale». Purtroppo questa sospensione non riguarda più solo Israele, ma tutta la comunità internazionale che non è in grado di fermare questo massacro indegno.
Dice ancora Grossman, pensando alla società israeliana, che essa è «una democrazia compiaciuta di se stessa, con pretese di liberalità e di umanesimo, ma che da decenni si impone su un altro popolo, lo umilia e lo schiaccia». Una gigantesca violazione dei diritti umani di un popolo si perpetua da decenni, con un’escalation insostenibile in queste settimane: fermate questo massacro!

*La RIDS (Rete Italiana Disabilità e Sviluppo), è stata voluta nel 2011 dall’AIFO (Associazione Italiana Amici di Raoul Follereau), da DPI Italia (Disabled Peoples’ International), da EducAid e dalla FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap).

Componente dell’Esecutivo Mondiale di DPI (Disabled Peoples’ Inrternational) e della RIDS (rete Italiana Disabilità e Sviluppo). Il presente testo – con minimi riadattamenti al diverso contenitore – viene pubblicato per gentile concessione dell’Agenzia Internazionale NENA (Near Est News Agency – “Agenzia Stampa Vicino Oriente”).

Linee guida sulla riabilitazione in ambito sanitario: l’OMS chiede il nostro contributo

canstock17119653Le linee guida sulla riabilitazione sanitaria, attualmente in fase di sviluppo da parte dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e i suoi partner, mirano a fornire una guida per i governi e gli altri attori interessati su come sviluppare, espandere e migliorare la qualità dei servizi di riabilitazione (comprese le tecnologie assistive) in contesti dove le risorse sono più scarse, in linea con le raccomandazioni del rapporto mondiale sulla disabilità (in particolare il capitolo quattro della relazione sulla “riabilitazione”).

Essi potranno anche sostenere l’attuazione degli aspetti riabilitativi della Convenzione sui diritti delle persone con disabilità (CRPD) e il piano d’azione globale per la disabilità dell’Oms 2014-2021: Migliorare la salute per tutte le persone con disabilità.

Le linee guida, che usciranno nel 2015, posizioneranno riabilitazione nel contesto della copertura sanitaria universale e del “quadro d’azione” OMS per il rafforzamento dei sistemi sanitari, che consiste di sei blocchi ben definiti: leadership e di governance; fornitura di servizi; risorse umane; prodotti e tecnologie mediche; finanziamento e sistemi informativi.

 

In concomitanza con l’imminente lancio delle linee guida, l’OMS è lieta di ricevere casi studio e storie personali che i soggetti interessati vorranno inviare, in particolare quelli provenienti da paesi a basso e medio reddito. Casi-studio di successo e  storie personali saranno riportate nelle linee guida sulla riabilitazione sanitaria.

Casi di studio: i casi-studio sono utilizzati in molte pubblicazioni dell’OMS per evidenziare esempi di buone prassi in termini di politiche, programmi e altre misure. L’OMS chiede casi di studio di buone pratiche basati sull’evidenza, che dimostriano i progressi relativi a uno o più dei “blocchi” di cui sopra e / o gli otto principi guida della Convenzione ONU. I casi-studio dovrebbero includere dettagli su come le persone con disabilità e gruppi di utenti sono stati coinvolti attivamente nella formulazione, attuazione, monitoraggio e valutazione di progetti, programmi o interventi.

Storie personali: le storie personali e le citazioni sono utilizzati dall’OMS per associare nomi e volti alle persone. L’OMS vorrebbe ricevere storie personali di persone che utilizzano o hanno utilizzato i servizi di riabilitazione, tra cui tecnologie assistive; genitori, partner o fratelli i cui familiari usano o hanno usato i servizi di riabilitazione, comprese le tecnologie assistive; e le persone che forniscono servizi di riabilitazione, compresa la tecnologia assistiva.

La data di scadenza per la presentazione sia dei casi-studio che delle storie personali è il 20 luglio 2014.

Si prega di utilizzare i moduli allegati di seguito come guida per redigere i vostri contributi.

Una volta completati, si prega di inviare i moduli a Rachel Mackenzie: mackenzier@who.int.

allegati

Call for case studies
Template for case studies
Call for personal stories
Template for personal stories

WHO global disability action plan 2014-2021

World report on disability

 

Cooperazione allo sviluppo e disabilità: il Piano dell’Italia

Ha fatto il suo “esordio internazionale” a Bruxelles il Piano d’Azione sulla Cooperazione allo Sviluppo e la Disabilità, documento redatto dal Ministero degli Esteri, dopo una proficua e partecipata collaborazione anche con la rete delle associazioni di persone con disabilità.

Fonte: superando.it – Si tratta di un testo che sancisce l’ingresso del principio dell’inclusione della disabilità in ogni fase di ideazione delle politiche e delle pratiche di sviluppo Redatto dai tecnici del Ministero degli Affari Esteri, in collaborazione con la RIDS – la Rete Italiana Disabilità e Sviluppo, voluta nel 2011 dall’AIFO (Associazione Italiana Amici di Raoul Follereau), da DPI Italia (Disabled Peoples’ International), da EducAid e dalla FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) -, oltreché con rappresentanti di Istituzioni, Enti Locali, organizzazioni non governative, imprese, mondo accademico e centri di ricerca, il Piano d’Azione sulla Cooperazione allo Sviluppo e la Disabilità – cui avevamo dedicato a suo tempo un ampio approfondimento, dopo averne seguito via via l’evoluzione – era stato ufficialmente lanciato a Roma nell’ottobre dello scorso anno.

Si tratta, lo ricordiamo, di un importante documento, che dà rilevanza alle Linee Guida per l’introduzione della tematica della disabilità nell’àmbito delle politiche e delle attività diCooperazione Italiana, redatte sulla base della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità. In altre parole, un testo che sancisce l’ingresso del principio dell’inclusione della disabilità in ogni fase di ideazione delle politiche e delle pratiche di sviluppo, contemplando azioni di promozione delle pari opportunità e soffermandosi in particolare sulle strategie generali, sulla progettazione inclusiva, sull’accessibilità e la fruibilità di ambienti, sui beni e i servizi, sugli aiuti umanitari e le situazioni di emergenza, sulla valorizzazione delle esperienze e delle competenze presenti nella società civile e nelle imprese.
Ne avevamo parlato a lungo esattamente con Pier Francesco Zazo, ministro plenipotenziario, capo dell’Unità Tecnica Centrale della Direzione Generale Cooperazione allo Sviluppo e responsabile del Tavolo di Lavoro che ha dato vita all’iniziativa e Mina Lomuscio, referente del medesimo Tavolo di Lavoro.

Il Piano ha fatto a Bruxelles il suo “esordio” a livello internazionale, il 26 maggio, presso il Comitato Economico e Sociale Europeo, dove è stato appunto presentato nel corso di un incontro, moderato da Daniela Tonon, rappresentante permanente dell’Italia presso l’Unione Europea e da Catherine Naughton dell’IDDC (International Disability & Development Consortium).
Vi sono intervenuti Hélène Bourgade, funzionaria europea per il Lavoro, l’Inclusione Sociale e l’Immigrazione, Anca Gunta, membro del Comitato Economico e Sociale Europeo,Giampaolo Cantini, direttore generale per la Cooperazione allo Sviluppo presso il Ministero degli Esteri e la già citata Mina Lomuscio.
A rappresentare poi il RIDS, è stato Giampiero Griffo, membro dell’Esecutivo Mondiale di DPI (Disabled Peoples’ International) e hanno partecipato all’incontro anche Javier Guemes, vicedirettore dell’EDF (Europena Disability Forum), Ingar Duering della Cooperazione Internazionale tedesca e Meena Paudel, coordinatrice di programma per l’Associazione delle Donne con Disabilità del Nepal. (S.B.)

Si può scaricare il testo integrale del Piano di Azione sulla Disabilità. Per ulteriori informazioni e approfondimenti sulla tematica trattata, accedere al sito del Piano di Azione sulla Disabilità (Ministero degli Esteri – Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo) e a quello della Cooperazione Italiana allo Sviluppo (settore dedicato alla disabilità).

Per saperne di più visita anche il sito della RIDS

“Gli esclusi” di Covili: 40 opere in mostra a Bologna dal 16 maggio al 6 luglio

© Gino Covili

© Gino Covili

L’esposizione di una quarantina di opere del ciclo Gli esclusi di Gino Covili, che si terrà a Bologna dal 16 maggio al 6 luglio presso Santa Maria della Vita, riporta in evidenza come i processi di istituzionalizzazione possano segnare e sconvolgere i volti che hanno vissuto immani sofferenze fisiche e psicologiche negli ospedali psichiatrici.

L’istituzionalizzazione delle persone con disabilità, pratica nata insieme con la nascita delle istituzioni totali, spesso negli stessi luoghi in cui erano rinchiusi i malati psichiatrici, per secoli ha violato i più elementari diritti umani, e continua a violarli in molti paesi. Queste pratiche segregative, all’inizio ispirate da principi di carità, sono diventate prigioni in cui persone ridotte a una unica caratteristica – con differenti forme di funzionamento come la cecità, la sordità, la lentezza nell’apprendimento, una differente mobilità – venivano e vengono sepolte vive per tutta la vita. Queste pratiche di esclusione si sono poi espanse in molte direzioni: in classi e scuole speciali, in laboratori lavorativi protetti, in istituti lager.

Nell’Unione europea sono più di mezzo milione le persone con disabilità rinchiuse in megaistituti, ancora più del 60% degli studenti delle scuole primarie frequenta classi e scuole segreganti, circa 400.000 persone lavorano in enclosure lavorative. Nessuno ancora ha dipinto quei volti, descritto in una forma artistica quali sofferenze materiali e disumane subiscano. Grazie al movimento anti-istituzionalizzante di Franco Basaglia in Italia, negli stessi anni in cui venivano chiusi i manicomi psichiatrici, venivano smantellate le classi differenziali e speciali. Molte persone con disabilità uscivano dagli istituti e costruivano le prime associazioni che si bat-tevano per i diritti riconosciuti a tutti i cittadini e a loro negati.

Oggi rimangono nel nostro paese ancora circa 140.000 persone con disabilità rinchiuse in istituti, spesso da centinaia di posti letto, retaggio di abbandoni familiari, pratiche assistenziali distorte, percorsi disabilitativi e impoverenti. L’approvazione della Convenzione sui diritti delle persone con disabilità delle Nazioni Unite (2006), ratificata dal 145 paesi (il 75% dei paesi aderenti all’ONU, tra cui l’Italia e l’Unione Europea) rappresenta uno standard internazionale che rifiuta qualsiasi forma di segregazione.

Chi visiterà la mostra di Covili vivrà un’esperienza che rafforzerà la consapevolezza che la vera riabilitazione ed abilitazione è quella di avere un ruolo nella società, di costruirsi un percorso di vita rispettoso dei diritti umani e di partecipare, in tutte le forme scelte e possibili, alla vita di comunità.

Giampiero Griffo

DPI Europe / CeRc – Centre Robert Castel for Governmentality

scarica la brochure con l’anticipazine della mostra

ginocovili.com
coviliarte.com

 

gliesclusi

Per una Cittadinanza Attiva delle persone con disabilità

Presentato recentemente a Firenze, il progetto triennale DISCIT, finanziato dalla Commissione Europea, si pone come obiettivo la produzione di nuove conoscenze che rendano gli Stati Membri, i Paesi europei affiliati e l’Unione Europea stessa in grado di ottenere una piena ed effettiva partecipazione delle persone con disabilità alla vita sociale ed economica. Ne parliamo con il responsabile per l’Italia, Mario Biggeri dell’Università di Firenze.
Intervista a Mario Biggeri di Laura Sandruvi*
Fonte: superando.it 

Come avevamo ampiamente riferito qualche tempo fa, il progetto triennale DISCIT (Making Persons with Disabilities Full Citizens – New Knowledge for an Inclusive and Sustainable European Social Model, ovvero “‘Rendere le persone con disabilità Cittadini a pieno titolo – Nuove conoscenze per un modello sociale europeo inclusivo e sostenibile”), finanziato dalla Commissione Europea per la ricerca nel campo della disabilitàè stato presentato all’inizio di marzo, durante un seminario svoltosi a Firenze.A occuparsene è un Consorzio che vede coinvolti vari Paesi europei (Belgio, Germania, Irlanda, Italia, Gran Bretagna, Norvegia, Repubblica Ceca, Serbia, Svezia e Svizzera), coordinato dalla NOVA (Norwegian Social Research), e il referente per il nostro Paese è il Laboratorio ARCO (Action Research for Co-Development) dell’Università di Firenze, che su questo ha lavorato in sintonia con Giampiero Griffo, membro dell’Esecutivo Mondiale di DPI (Disabled Peoples’ International), uno dei “‘padri italiani”‘ della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità.
Come avevamo preannunciato, approfondiamo oggi le caratteristiche dell’importante iniziativa, tramite il seguente lungo colloquio con Mario Biggeri dell’Università di Firenze, responsabile italiano del progetto.Che cosa si propone di essere DISCIT?
«DISCIT si pone come obiettivo la produzione di nuove conoscenze che rendano gli Stati Membri, i Paesi europei affiliati e l’Unione Europea stessa in grado di  ottenere una piena ed effettiva partecipazione delle persone con disabilità alla vita sociale ed economica. La possibilità  di esercitare la cosiddetta “Cittadinanza Attiva”, attraverso l’azione e la pratica sociale, è legata alle condizioni sociali per la partecipazione in Europa. Per finalità analitiche, DISCIT distingue fra tre dimensioni di Cittadinanza Attiva, così come sono percepite dagli individui:
– Sicurezza: ridurre cioè le principali fonti di incertezza o la necessità di assumere rischi a livello individuale (ad esempio in relazione a questioni finanziarie), evitare preoccupazioni costanti relative al futuro, godere della protezione sociale contro i principali rischi della vita (malattia, povertà, violenza ecc.).
– Autonomia: evitare la “dipendenza da” o l’interferenza di altri, vivere in modo indipendente, esercitare la propria libertà e vivere la vita avendo motivazioni per voler vivere.
– Influenza: partecipare ai processi deliberativi e decisionali pubblici, definendo il quadro per il proprio percorso di vita e prendendo parte alle decisioni relative alla promozione del  bene comune; regolare il comportamento sociale, data l’interdipendenza dell’azione umana.
In sostanza DISCIT ha il compito di identificare i fattori e le condizioni che attualmenteimpediscono o scoraggiano le persone con disabilità dall’esercitare la Cittadinanza Attiva e, più positivamente, di indicare i mezzi o i modi per renderle in grado di esercitare la stessa».Durante l’incontro di presentazione di DISCIT, a Firenze, lei si è soffermato sulla prospettiva del cosiddetto c” (“approccio delle capacità”), tema al quale, qualche tempo fa, ha anche dedicato un ampio dossier, elaborato insieme a Nicolò Bellanca e intitolato appuntoL’approccio delle “capability” applicato alla disabilità: dalla teoria dello Sviluppo Umano alla pratica. Di che cosa si tratta esattamente?«Quel dossier è stato parte di un percorso di ricerca pluriennale che ha condotto me e il gruppo di ricercatori con i quali collaboro a cercare di tradurre inlinee guida pratiche un approccio teorico-filosofico come quello dellecapabilities. Il percorso si è sviluppato grazie al contatto costante con gli operatori e i dirigenti dei servizi socio-sanitari, con le persone con disabilità e con le loro organizzazioni. In diversi casi ci siamo trovati ad analizzare modalità di fornitura di servizi che già “inconsapevolmente” basavano le loro pratiche sull’approccio dellecapabilities.

L’idea di base è quella di un sistema incentrato sulla persona che abbandoni un approccio “fordista” alla produzione di beni e servizi, per andare verso la personalizzazione e l’ottimizzazione nell’uso delle risorse [il “fordismo”, termine utilizzato qui e oltre, è sinonimo, in senso generale, del sistema moderno di produzione industriale e del consumismo di massa, N.d.R.]. La sfida di fronte alla quale ci ritroviamo è però enorme, per cui abbiamo bisogno di un ripensamento globale dei sistemi socio-sanitari. Proprio per questo, assieme ai tecnici della Regione Toscana, ci occupiamo anche di elaborare strumenti gestionali appropriati, dato che siamo pienamente consapevoli che non possiamo proporre modelli di intervento la cui sostenibilità economica non sia provata e monitorabile».

Quali sono i metodi di empowerment – ovvero di “crescita della consapevolezza e dell’autoconsapevolezza” – in grado di fornire sostegno a una concreta riforma politica sulla disabilità, passando, come scrive nel dossier, «dalla teoria dello Sviluppo Umano alla pratica»?
«Nella costruzione dei percorsi di empowerment ci sono sicuramente dei passaggi critici. Il primo punto è avere un sistema di servizi che riesca a valorizzare le risorse e le aspirazioni della persona, senza costringere la persona stessa a incasellarsi all’interno di ciò che il sistema offre. Il secondo è il coinvolgimento della famiglia e dell’intera rete sociale della persona. Il terzo è la promozione di attività quali il peer counseling [“consulenza alla pari”, N.d.R.], che mostrino alla persona il tipo di risultati che può raggiungere facendo leva sulle proprie risorse residue».

Rispetto ad altri Paesi europei, la situazione italiana offre un quadro piuttosto negativo: mi riferisco ai tagli al sostegno scolastico e in genere al mancato finanziamento all’integrazione degli studenti con disabilità, alla carenza di adeguati servizi assistenziali e di tutela, come pure all’inadeguato inserimento professionale. Qual è la sua opinione?
«Il problema fondamentale, al momento, è culturale. Il punto è che la condizione di disabilità viene percepita come statica, dal momento in cui da determinate forma di disabilità non si guarisce. La cosa sulla quale non si riflette è che la condizione di disabilità – come tutte le condizioni umane – è invece dinamica e legata all’interazione tra la persona e il suo contesto. Questo vuol dire che le risorse che si spendono per la persona e per migliorare il contesto possono produrre cambiamenti. Se questo è vero, allora la spesa per le persone con disabilità dev’essere considerata come un investimento che produce flussi di costi e di benefìci nel presente e nel futuro. In altre parole, una persona che si inserisce nel lavoro, un familiare che riacquisisce serenità o un ambiente pubblico accessibile producono ricchezza materiale (e non) per l’intera società».

Sempre nel dossier di cui parlavamo, si legge che «il framework delle capability [il “quadro delle capacità”, N.d.R.] aiuta a superare i limiti dei principali modelli utilizzati nella disabilità»: l’approccio delle capabilities può quindi servire ad affrontare il problema del modello sociale che rifiuta il concetto stesso di “disabile”, pensando al fatto che sono le barriere architettoniche, sociali e culturali a bloccare di fatto la vera inclusione? E in quale modo?
«Quello che possiamo dire è che l’approccio delle capabilites può essere complementare all’approccio sociale, inducendo una maggiore presa in considerazione della persona, delle sue aspirazioni e dei suoi valori. Questo spinge verso la creazione di un sistema che sia in grado di accogliere e valorizzare l’infinità diversità umana anziché incasellarla all’interno di schemi di fornitura dei servizi di tipo “fordista”».

Vorrei una sua descrizione del “progetto di vita” e di quale importanza esso abbia per le persone con disabilità.
«L’elaborazione del progetto di vita è un passaggio molto importante ed è importante sia per il risultato a cui conduce (il vivere una vita che si avvicini il più possibile a quello che la persona ritieneuna buona vita), sia per il processo da cui scaturisce (cioè il recupero di una visione di sé nel futuro, di sé come soggetti dinamici). Il progetto di vita, pertanto, è esattamente quel passo che consente alla persona di trasformarsi da recipiente passivo di politiche a parte attiva della società».

Concludendo, come si può evolvere il concetto di disabilità, in assenza di un vero cambio di passo della politica e della cultura, per ottenere un rafforzamento del benessere per le persone con disabilità?
«Come dicevamo prima, il cambiamento culturale è esattamente il primo passo di cui abbiamo bisogno. Senza di esso nessun ammontare di risorse economiche può essere sufficiente per offrire un livello di benessere sufficiente alle persone con disabilità, rendendole pienamente fruitrici dei diritti di cittadinanza.
In altri termini, è necessario che nell’intera società si radichi la consapevolezza che la qualità della nostra democrazia – nel senso più ampio del termine – e il peso specifico del concetto di giustizia e di diritti che la nostra società decide di adottare, sono direttamente proporzionali allo spazio di libertà che riusciamo ad offrire alle persone a rischio di marginalizzazione. La crescita economica che si ottiene (sempre che sia possibile) “scaricando” alcune persone come se fossero la bad company della nostra società, non è sviluppo e non crea nessun incremento reale di benessere. Proprio per questo, all’interno del Progetto DISCIT ci occupiamo di cittadinanza e di creazione di una società europea che possa esserepienamente fruita da tutti i cittadini in tutte le sue dimensioni.
Sono del tutto consapevole che per ottenere questo tipo di risultati non possiamo investire in tutte le direzioni contemporaneamente e proprio per questo mi sento di sottolineare due priorità. La prima è la scuola e l’istruzione in ogni suo grado. L’inclusività del sistema scolastico italiano è un vanto per il nostro Paese, ma è attualmente messa in pericolo dalle politiche di austerità. Il secondo punto è la necessità di un orizzonte temporale lungo nella pianificazione e nell’implementazione delle politiche. È estenuante, infatti, vedere anni di sforzi vanificati nel momento in cui un dirigente viene rimosso o destinato ad altro incarico a causa di alchimie politiche che niente hanno a che fare con la competenza e i risultati ottenuti».

Mario Biggeri dell’Università di Firenze è il responsabile italiano del ProgettoDISCIT (“Making Persons with Disabilities Full Citizens – New Knowledge for an Inclusive and Sustainable European Social Model”).

Riconoscimento del Diritto Umano alla Pace: anche DPI Italia sottoscrive l’appello. Tutti possiamo contribuire!*

Colomba della Pace di Pablo PicassoDPI Italia sottoscrive questo appello e incoraggia tutte le associazioni aderenti e le loro reti affinchè si facciano promotrici presso i propri Comuni di riferimento per l’adozione di un Ordine del Giorno che riconosca la pace quale diritto umano fondamentale della persona e dei popoli.

In questi giorni, i Consigli dei Comuni italiani, da Marsciano a Desenzano, da Certaldo a Reggio Emilia, da Mesagne a Oderzo a Cattolica, da Novara a Guagnano, da Corciano a Rovereto, stanno facendo a gara nell’approvare un Ordine del giorno, spesso su iniziativa diretta del Sindaco, a supporto del riconoscimento giuridico del diritto alla pace quale diritto fondamentale della persona e dei popoli.

Fonte: Archivio Pace e Diritti Umani dell’Università di Padova – Il testo della mozione, preparato dal Centro di Ateneo per i Diritti Umani dell’Università di Padova e dalla Cattedra Unesco Diritti Umani, Democrazia e Pace presso la stessa Università, è stato diffuso dal Coordinamento Nazionale degli Enti Locali per la Pace e i Diritti Umani. I Comuni dimostrano così di volere essere partecipi di un processo in atto al Consiglio Diritti Umani delle Nazioni Unite, teso a mettere a punto una solenne Dichiarazione sul diritto umano alla pace.

La bozza della Dichiarazione sta incontrando l’opposizione di alcuni stati, che non intendono rinunciare allo ius ad bellum, e il favore di centinaia di organizzazioni non governative beneficianti di status consultivo alle Nazioni Unite. In Italia, a partire dal 1988 il formale riconoscimento della pace come diritto della persona e dei popoli, figura negli Statuti di centinaia di Comuni e Province e in apposite Leggi di numerose Regioni. A giusto titolo i Governi locali e regionali italiani possono vantarsi di avere anticipato e stimolato il diritto internazionale in materia e pretendere quindi che la Dichiarazione delle Nazioni Unite venga approvata.

Scarica l’Ordine del Giorno per il riconoscimento internazionale del diritto umano alla pace (link esterno all’Archivio Pace e Diritti Umani)

* Titolo originale: A valanga i Comuni italiani stanno deliberando sul diritto umano alla pace